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La vita avventurosa dell’eclettico batterista Matteo Filogonio

Una giovinezza vissuta all’insegna della musica beat

di Luigi Ciavarella

Uno degli artisti più eclettici e cosmopoliti che il nostro paese abbia mai conosciuto lo possiamo trovare nella figura di Matteo Filogonio, classe 1941, originario di San Marco in Lamis, attualmente residente a Roma, dove sta vivendo l’ultima parte della sua vita, dopo una giovinezza trascorsa a girovagare tra Milano, Svizzera, Inghilterra e Roma, facendo cose molto interessanti.

Un vissuto che vale la pena di raccontare.

Proveniente da una famiglia molto numerosa (il padre Pietro, che io ho conosciuto, oltre Matteo e sua sorella Anna, mia carissima amica, ha avuto altri sette figli) egli ha vissuto la sua prima fase della vita in campagna (località Coppa di Mezzo) dove la sua famiglia possedeva dei terreni. Una infanzia passata all’aria aperta tra disagi e fatica non hanno scalfito più di tanto la fiducia del giovane Matteo in un avvenire prosperoso. Infatti alla prima occasione parte per Milano (col famoso treno notturno Reggio Calabria – Milano, che lui prende a San Severo) con biglietto di sola andata con lo scopo di raggiungere un parente che lo ospita nel capoluogo lombardo. Sono tuttavia momenti difficili perché il distacco dal proprio paese natio (e dalla propria famiglia), nonostante la fuga voluta, produce sempre effetti negativi sullo spirito. Ma non si perde d’animo.

La svolta arriva (a Milano) nel 1960 quando decide di iscriversi ad un corso serale di musica mentre di giorno lavora al Grand Hotel, con annessa discoteca (la“Magic Fly”), sito nella centralissima Galleria Vittorio Emanuele. Questa tranquillità gli consente di organizzare la propria vita sociale e le sue passioni dopodiché, nel 1963, prende la decisione di approfondire le lingue straniere per trasferirsi nella vicina Svizzera. Il luogo prescelto è la bella e antica città di Basilea, dove stabilisce la sua nuova residenza, trovando anche lavoro nel ramo ferroviario.

Qui a Basilea comincia la parte per noi più interessante poiché investe la sua attività di batterista (vedi foto). Infatti in questa città di confine che Matteo, invitato dal suo amico musicista Elon Sterling, accetta di suonare la batteria in un complesso, dopo un veloce apprendistato allo strumento. Qui incontra pure il resto della band: Charlie Rice che proviene da Delemont (Cantone francese) e Henry Brass di Losanna. Insieme formano un complesso di musica beat sulle orme dei Beatles e su quei suoni molto in voga in quel periodo.

Si chiameranno Black Panthers.

Siamo nel 1965, nell’anno clou della musica pop, nel tempo in cui i locali da ballo nascono e si moltiplicano ovunque, con le loro fantasiose insegne luccicanti, i colori seducenti e i suoni di contorno che attraggono migliaia di giovanissimi. Il posto ideale per i Black Panthers.

Il padre di Elon, Colin Sterling, si assume l’onere di produrli facendo loro anche da manager e portandoli a suonare un po’ dappertutto. Dai locali della Jugoslavia (Grotte Postunia) all’Italia (lo Starwood Sterzing di Vipiteno, il Modillo di Bressanone, etc.), a l’SBB del Basel Stadt (Basilea) e il Top Of the Pop di Zurigo (Svizzera) sino a Colmar_ Francia (citazione d’obbligo per “la Gare du Nord”, rue de la Poissonnerie, che fu mitico locale alla page di cui personalmente conservo qualche lontanissimo ricordo) i Black Panthers girano in lungo e in largo tutta l’area geografica di confine tra Svizzera, Italia del nord e Francia alsaziana, portando in ciascun luogo la loro musica e la loro frenetica voglia di suonare.

Sono anni che segnano comunque un’esperienza unica, impossibile da dimenticare.

Nel 1967, dopo cinque anni di ininterrotta attività live e dopo aver pubblicato quattro singoli, (nella foto uno dei quattro), venuto a mancare il loro manager, il complesso si prende una pausa di tre settimane che Matteo Filogonio sfrutta per tornare a San Marco in Lamis. Ci arriva con una ragazza (Regina Hoffman) conosciuta poco prima della partenza.

Al ritorno i Black Panthers riprendono a suonare decidendo di trasferirsi a Cambridge dove Matteo trova nel frattempo anche il tempo di iscriversi all’Università senza tralasciare l’impegno con i Black Panthers. In questo periodo effettuano alcune serate nella zona di Liverpool forse attratti dai luoghi frequentati dai Beatles, loro costanti punti di riferimento, forse altro, comunque in un clima davvero speciale per i tanti richiami che evocano quei posti.

Dopo quattro anni trascorsi in terra d’Albione Matteo riceve finalmente dall’Ambasciata americana a Roma l’atteso telegramma d’assunzione come interprete diplomatico presso la sede di via Veneto. Un nuovo trasferimento, questa volta l’ultimo, nella capitale, che manda in soffitta per sempre ogni tipo di rapporto con la musica, ponendo così la parola fine ad una avventura musicale cominciata nel 1965.

Dal 1971 in poi Matteo Filogonio svolgerà il suo lavoro all’ambasciata fino all’età della pensione.

Oggi Matteo Filogonio è un tranquillo signore di ottant’anni che guarda al suo passato sì con sottile, inevitabile nostalgia ma allo stesso tempo si gode un altrettanto soddisfacente presente ancora così ricco di aspettative di vita e di progetti avventurosi perché difficilmente chi ha prodotto musica riesca poi ad arrendersi facilmente al tempo che passa.

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