“Storia di un esproprio”, Giuseppe Soccio risponde al Sindaco

In riferimento al commento del sindaco Michele Merla (clicca qui) apparso ieri su Facebook nel post riguardante la vicenda “Opera Pia”, il prof. Giuseppe Soccio ha chiesto a questa Redazione di riproporre un suo intervento (datato 11 ottobre 2011) incentrato, così come  appunto “richiesto” dal primo cittadino, sull’esproprio  dei terreni “Serrilli”.

STORIA DI UN ESPROPRIO

di Giuseppe Soccio

SAN MARCO IN LAMIS, 11/10/2011 – Nel 1976, il Commissario Prefettizio, con la deliberazione n. 111 del 16.11.1976 (è importante ricordare questo atto perché diventerà centrale in tutta la vicenda), adottava una variante allo strumento urbanistico (P.d.F. – Programma di Fabbricazione) per edilizia economica e popolare (stiamo palando della vicenda che riguarda il piano di zona per edilizia economica e popolare di Via Celano).

Questa deliberazione del Commissario – ripeto n. 111/76- è stata impugnata con ricorso al TAR Puglia , depositato il 20.07.1977 da parte di alcuni proprietari dei suoli interessati all’esproprio per la realizzazione del programma di edilizia economica e popolare. Subentrata la gestione ordinaria, siccome erano stati assegnati finanziamenti per la realizzazione di case popolari (quelle che poi saranno realizzate, appunto, in Via Celano, unitamente a lotti di cooperative), gli amministratori dell’epoca, per evitare di perdere i finanziamenti (come già detto, era in atto un procedimento giudiziario per l’annullamento della variante al P.d.F. necessaria per l’acquisizione dei suoli), pensarono bene di intraprendere la strada di una transazione per eliminare il contenzioso.

A tale proposito, sono molto esplicite, tra le altre, la deliberazione n. 76 del 1979 del Consiglio Comunale e quella n. 313 della Giunta, sempre del 1979. Contemporaneamente, veniva affidato l’incarico ad un tecnico per la modifica della variante adottata dal Commissario (deliberazione n. 44 del 1978). La proposta tecnica, frutto anche della volontà transattiva manifestata da Comune e proprietari, sfociava nel superamento della deliberazione n.111/76 e nell’approvazione di una serie di atti (vedi deliberazioni del Consiglio Comunale nn. 139, 149, 150 del 1979, ad esempio) che, in buona sostanza, portavano ai risultati, così bene riassunti dalla relazione istruttoria della Regione Puglia per l’emissione di provvedimenti di convalida  delle nuove varianti, in sostituzione di quella del Commissario, adottate dal Consiglio Comunale.

In tale istruttoria, e poi nella deliberazione della Giunta Regionale, infatti, si dice che le varianti sono ammissibili e che esse comportano quanto segue: “un’area residenziale, preferenzialmente riservata all’edilizia economica e popolare, viene modificata in zona B attuale e di completamento e viceversa, parte di un’area destinata a verde agricolo di rispetto nel P.F. viene modificata in zona residenziale preferenzialmente riservata all’edilizia economica e popolare ”.

L’amministrazione dell’epoca, quindi, ha anticipato quello che le attuali normative prevedono come “compensazione”: anziché l’esproprio tout court, ai proprietari dei suoli da espropriare veniva offerta la possibilità di edificare su altri suoli, che, diversamente, avrebbero continuato ad essere inedificabili o suscettibili di edificabilità con indici bassi (si noti che la trasformazione in zona B ha comportato un notevole aumento degli indici di edificabilità). Un’operazione analoga, contemporaneamente, veniva portata avanti per la zona dello “Starale”: sono stati elevati gli indici di edificabilità e le volumetrie in più sono state assegnate per edilizia economica e popolare; in questo modo, i proprietari non hanno perduto le loro volumetrie e non hanno fatto alcun ricorso, consentendo a cooperative e IACP di edificare.

Quindi, in definitiva, l’accordo raggiunto era più che soddisfacente per tutti, tanto è vero che alcuni proprietari (nel 1979, come risulta da documenti) hanno sottoscritto la volontà transattiva, mentre altri, addirittura, hanno manifestato la volontà di donazione dei suoli occorrenti per l’edilizia popolare, tanto è vero che, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 115 del 1979, si recepiva tale volontà, accompagnata dalla richiesta di devolvere quanto dovuto per l’esproprio in opere per la ricerca medico-scientifica: la pratica espropriativa, quindi, si combinava con la proposta di donazione e, pertanto, venivano emanati atti per definire l’ammontare dell’indennità. Infatti, con decreto sindacale n. 145 del 04.10.1982 (pubblicato sul BURP n. 100 del 09.10.1982) veniva fissata l’indennità di esproprio e diversi proprietari si dichiaravano disposti (con lettere agli atti del Comune) ad accettare l’indennizzo, un acconto del quale venne corrisposto con deliberazione delle Giunta Municipale n. 43 del 06.12.1982. Con successivo decreto sindacale, poi, pubblicato sul BURP il 14.05.1983, venivano apportate correzioni al precedente decreto e veniva ripetuta la procedura di notifica ai proprietari.

A mio parere, quindi, la procedura espropriativa, nei termini concordati con i proprietari e per la parte spettante agli organi politici dell’amministrazione (Sindaco, Consiglio e Giunta), è stata formalmente e correttamente portata a termine, con la semplice riserva, da parte dei proprietari, di un adeguamento della misura dell’indennità alla normativa che stava per essere emanata in proposito, a seguito di sentenze della Corte Costituzionale che ritenevano ingiusto valutare suoli edificabili a prezzo agricolo. Nel frattempo, i proprietari dei suoli edificavano i lotti a loro riservati dalle varianti al P.d.F.

In definitiva, l’accordo ha funzionato e nessuno degli atti sopra citati è stato mai contestato: sia il Comune che i privati hanno realizzato il programma edilizio previsto con le varianti che sostituivano quella del Commissario di cui alla deliberazione n. 111/76. Per inciso, progetti e direzione dei lavori, relativi a concessioni edilizie richieste dai privati, sono opera di tecnici che hanno redatto le varianti e che, quindi, conoscevano bene la validità delle stesse, così come, anche per aver scelto di abitare in immobili della zona, la conoscevano responsabili comunali. Tutto tranquillo, pertanto, fino al 1989. Sino a quella data, niente (almeno per quanto a mia conoscenza) lascia presagire che la questione possa essere riaperta.

Invece, non è così: il 19.09.1989, ben sette anni dopo l’accettazione dell’indennità d’esproprio, i proprietari, che avevano manifestato la volontà di donazione dieci anni prima, ricorrono al Tribunale di Foggia per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata corresponsione dell’indennità di esproprio. Intanto, il TAR, dopo ben 13 anni e assente all’udienza decisiva il difensore del Comune, con sentenza n. 314 del 04.10.1990 si pronuncia sulla famosa deliberazione n. 111/76 del Commissario Prefettizio annullandola per difetto di motivazione.

Il bello di questa sentenza è che in essa si dice quanto segue: “E’ infondata l’eccezione di sopravvenuta carenza d’interesse, sollevata dall’Amministrazione comunale, per aver i ricorrenti accettato l’indennità provvisoria di esproprio. Il Collegio osserva in proposito, che la legittimità degli atti amministrativi va verificata con riferimento alla loro potenzialità lesiva nel tempo in cui sono stati emessi, essendo irrilevanti, in linea di principio, i fatti sopravvenuti, salvo che non consistano in nuovi provvedimenti sostitutivi di quelli impugnati, realizzando così l’interesse del ricorrente (cessata materia del contendere) ovvero in atti che escludano in radice l’interesse ad ottenere l’annullamento (improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse)”.

Come si vede chiaramente, il TAR ignora completamente (perché nessuno lo ha fatto rilevare) che la deliberazione n. 111/76 è stata sostituita dalle deliberazioni nn. 149 e 150 del 1979 che “realizzavano l’interesse dei ricorrenti”, tanto è vero che gli stessi addivenivano alla volontà di donazione, e che era interesse dei ricorrenti mantenere in vita, perché con quegli atti hanno potuto realizzare cospicui fabbricati: se tutta l’operazione di variante è nulla, anche gli edifici privati sono illegittimi. Questa sentenza del TAR di annullamento della deliberazione 111/76, anziché essere impugnata dal Comune o essere eseguita con il ritenere nulli tutti gli atti conseguenti (comprese le concessioni edilizie dei ricorrenti), viene esibita, per dimostrare l’illegittimità dei soli atti espropriativi, al giudice del Tribunale di Foggia, che, nella sua sentenza, la n. 2633 del 12.11.2003 (14 anni dopo l’inizio del procedimento), riconosce, in via equitativa, ai proprietari il diritto al risarcimento, che determina in € 33.125,68 per una parte di terreni e in € 24.891,04 per un’altra parte (si tratta di proprietari diversi ancorché parenti tra loro) con la maggiorazione dei soli interessi legali a partire dal 24.09.79 senza rivalutazione monetaria.

Avverso la sentenza del Tribunale di Foggia i proprietari proponevano appello con citazione del 16.11.2004. Nel 2006, il Commissario Prefettizio, liquida quanto previsto dal Tribunale di Foggia e gli interessati nell’agosto di quell’anno riscuotono € 147.536,52.

Sempre nel 2006, anche la Corte di Appello di Bari si pronuncia, con sentenza n.518 del 14.03.2006, e riforma la sentenza di Foggia accordando un aumento considerevole del risarcimento che sale così a € 71.890,80 per una parte di terreni e a € 49.534,80 per l’altra. Con interessi e rivalutazione, sottraendo quanto già liquidato dal Commissario Prefettizio, i proprietari vantano un credito complessivo di ben € 678.418,81, che viene riconosciuto come debito fuori bilancio dal Consiglio Comunale (del. n. 58 del 2008) e per il quale viene contratto un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti. Anche la sentenza della Corte di Appello di Bari, però, non soddisfa gli interessati che propongono ricorso, il 02.08.2007, alla suprema Corte di Cassazione. Il Comune non si è costituito.

Nelle more dello svolgimento dei giudizi innanzi al Tribunale di Foggia e alla Corte di Appello di Bari, nel 2001, sempre gli stessi proprietari hanno adito anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. C’è stata quindi una contestuale pendenza di processi e un accavallarsi di decisioni. Quelle dei tribunali italiani le abbiamo già viste.

Vediamo cosa succede a Strasburgo.

La Corte Europea ha affrontato il ricorso in più fasi che è difficile ricostruire in base alla documentazione che ho potuto consultare. Comunque, nel 2004, la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa rimette al Sindaco di San Marco copia di una comunicazione delle parti in merito al ricorso. Tra aprile e maggio 2006, poi, sempre la stessa Rappresentanza trasmette copia delle osservazioni complementari sull’equa soddisfazione della parte ricorrente e fa notare al Comune che il 6 giugno 2006 scade il termine entro il quale il Governo Italiano poteva presentare osservazioni. Non mi risulta che vi sia stata qualche risposta da parte del Comune sia nell’uno che nell’altro caso.

Con sentenze del 17.04.2008 e 17.10.2008 la Corte Europea accoglie, a sua volta, le domande dei ricorrenti e condanna il Governo Italiano a risarcire il danno da essi subito con € 400.000,00. Entro tre mesi si poteva far ricorso alla Grande Camera, ma, anche questa volta, non si muove niente. In definitiva, per gli stessi terreni vi sono due risarcimenti. Attualmente, in base alle varie sentenze, i ricorrenti hanno percepito: € 147.536,52 (del. Comm. Del 23.03.2006), € 400.000,00 (sentenze Corte Europea, anticipati dal Governo e che devono essere restituiti dal Comune), € 255.506,02 (parte di quanto riconosciuto dalla Corte di Appello di Bari) per complessivi € 803.042,54. E’ ancora in giudicato, per opposizione del Comune all’esecuzione, la differenza tra quanto riconosciuto complessivamente dalla Corte di Appello e quanto liquidato e cioè altri € 400.000,00 circa. Se non sbaglio e se non ci sono state variazioni, la deliberazione di liquidazione dell’indennità di esproprio del 1982 parla, per questo caso, di circa mq 6.000 (€ 133 al mq). La vicenda, sostanzialmente, presenta tre aspetti paradossali:

– Tutte le sentenze di condanna del Comune (quella del Tribunale di Foggia, quella della Corte di appello di Bari e quelle della Corte Europea) poggiano su un presupposto: l’annullamento da parte del TAR nel 1990 della deliberazione n. 111/76 del Commissario Prefettizio che approvava una variante. In altri termini, i giudici hanno sempre ritenuto, e lo mettono ben in evidenza nelle sentenze, che l’occupazione dei terreni debba ritenersi “usurpativa” poiché “ è fuori dubbio che per effetto dell’annullamento da parte del giudice amministrativo della delibera comunale n. 111/76 tutta la procedura ablativa susseguente è da considerarsi illegittima ” (dalla sentenza del Tribunale di Foggia riportata tra virgolette in quella delle Corte d’Appello di Bari; anche nella sentenza della Corte Europea si dice: “ … compte tenu du jugement du TAR, le terrain avait été occupé illégalemen t”).

Insomma, nessuno ha mai fatto rilevare che questo era un presupposto erroneo, nessuno ha mai dato importanza al fatto che la deliberazione del Commissario Prefettizio era stata superata dalle deliberazioni del Consiglio Comunale che avevano reso edificabili, con indici considerevoli e con un conseguente vantaggio patrimoniale di gran lunga superiore ad ogni indennità di esproprio che all’epoca si poteva concedere, anche altri terreni dei ricorrenti e che gli stessi addirittura avevano manifestato la volontà di donare i terreni espropriati.

Nessuno, ripeto, ha mai fatto rilevare che il presupposto per considerare illegittima l’espropriazione era del tutto erroneo.  Del resto, in base a quelle varianti, anche i privati, tra cui i ricorrenti, hanno edificato notevoli fabbricati: se la variante è stata annullata, tutti i fabbricati, allora, sono da considerarsi illegittimi, compresi quelli privati? Infine, va fatto rilevare che l’aver ritenuto giusta la sentenza del TAR e non aver fatto ricorso al Consiglio di Stato ha reso possibile considerare l’acquisizione dei suoli “usurpativa” giustificando, così, non solo la corresponsione dell’indennità di esproprio, ma anche il risarcimento del danno con relativi interessi e rivalutazione. In altri termini, questo presupposto erroneo ha fatto raddoppiare, in ogni caso, l’indennizzo (basta vedere la differenza accordata dalla Corte di Appello rispetto al tribunale di Foggia). Ed è questo uno dei motivi per cui, a mio giudizio, bisognava costituirsi anche in Cassazione: partendo dalla contraddizione tra le due sentenze si poteva mettere in discussione tutta la vicenda e fare emergere tutte le altre incongruenze. –

La Rappresentanza permanente d’Italia presso il consiglio d’Europa, nonostante i continui avvertimenti a vigilare a che non si duplicasse l’indennizzo, non ha mai saputo che la Corte d’Appello di Bari si era pronunciata e che pertanto i ricorrenti avevano perso la qualifica di “vittima”; in altri termini, se la Corte Europea avesse saputo dell’esistenza della sentenza della Corte d’Appello di Bari, avrebbe dichiarato i ricorsi inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse. Chi doveva comunicare che La Corte d’Appello si era pronunciata? – Non esiste (almeno io non sono riuscito a vederlo) uno straccio di relazione di organi comunali in ordine a tutta la vicenda e sono veramente sconcertanti sia la mancata costituzione presso la Cassazione (in tale sede non si poteva fare chiarezza su tanti aspetti poco chiari della vicenda, chiedendo di riformare le sentenze di primo e secondo grado a favore del Comune?), sia l’assenza, in tutte le difese comunali (compresa quella in sede di esecuzione del decreto ingiuntivo di pagamento e compresa la memoria “tardiva” mandata alla corte di Cassazione nel febbraio 2011), di qualsiasi riferimento alla volontà di donazione, alla conclusione, già nel 1982, del procedimento di espropriazione, senza alcuna opposizione o osservazione, e all’efficacia e legittimità delle varianti e di tutte le procedure conseguenti (viene da chiedersi anche come mai non c’è stato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR e come mai non ci sono stati provvedimenti in sanatoria, visto che decine di appartamenti sono, tuttora, illegittimi, se quella sentenza de TAR è da intendersi così come è stata intesa -a mio giudizio, erroneamente-).

Inoltre, c’è da aggiungere che, sempre nella stessa zona, altri proprietari, in base alla sentenza del Tribunale di Foggia n. 2085 del 2003 notificata al Comune in data 04.02.04 (non impugnata per appello né dagli interessati né dal Comune), hanno percepito, a seguito della deliberazione del Commissario Prefettizio n 74 del 25.05.2006, € 365.000,00 (più o meno per la stessa estensione, credo).

Altra “stranezza” della vicenda è quella che riguarda l’Opera Pia “Gravina”. Nel piano di esproprio rientrano anche terreni di proprietà di questo ente (addirittura, credo, in misura maggiore degli altri proprietari). Il suo presidente, che pure nel 1982 aveva accettato l’indennità provvisoria, nel 1992 e nel 1997 scrive due lettere al Comune per chiedere un indennizzo di 450 milioni delle vecchie lire, se non sbaglio. Successivamente, anche l’Opera Pia avvia procedimenti giudiziari, di cui non sono riuscito a reperire la documentazione. C’è solo qualche nota del difensore del Comune che comunica il rigetto del riscorso da parte del Tribunale di Foggia. Come mai, lo stesso tribunale in due casi accoglie e per il terzo respinge il ricorso sulla stessa materia? Sarebbe interessante svelare questo mistero: chissà se nella motivazione di rigetto non vi erano elementi da far valere per gli altri casi, magari in Cassazione. A conclusione, per quel che mi riguarda personalmente, voglio solo far rilevare che in data 17.05.2007 (prima della notifica del ricorso in Cassazione quindi) ho fatto acquisire agli atti della deliberazione del Consiglio Comunale n. 41 la documentazione su diversi aspetti della vicenda. Non sono stato ascoltato, così come non sono stato ascoltato in seguito, nonostante qualche decina di lettere e dichiarazioni sulla necessità di approfondire la vicenda per tempo. Solo quando, alla fine del 2010, sempre su mio esposto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha fatto rilevare le inadempienze del Comune e la temerarietà di alcune pretese, qualcosa si è mosso grazie ad un assessore, in carica per pochissimo tempo, che si è recato personalmente a Roma.

 

 

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