‘’Un paese vuol dire’’. San Marco in Lamis nel grande affresco fotografico di Giuseppe Bonfitto

di Sergio D’AMARO

 Quel che intriga di questo catalogo fotografico è subito il suo titolo che suona Un paese vuol dire…San Marco in Lamis ieri e oggi. Racconto di un secolo nelle foto di Giuseppe Bonfitto e su quelle della sua collezione, a cura di Raffaele Fino e Giuseppe Soccio (Manfredonia, Andrea Pacilli ed., 2024, pp. 260, sip). Ricompare così chiaro il riferimento alle icastiche parole di Cesare Pavese nella sua ultima opera, La luna e i falò, dove è narrato come si forma un mito e come il tempo sappia elaborarlo e insieme distruggerlo smontandone il meccanismo illusorio. La molla della citazione pavesiana sostiene, dunque, questa avvincente storia per immagini di un paese esemplare del Mezzogiorno interno, riordinando tematicamente una parte dello sterminato archivio di fotografie raccolte e custodite lungo almeno un sessantennio da Giuseppe Bonfitto, ex ottico con la vocazione di Cartier Bresson e in effetti diventato nella sua veneranda età custode della memoria ancestrale della sua ‘’matria’’.

Non diciamo a caso ‘’matria’’, giacché vorremmo tradurla così da quella Heimat, che designa più della parola patria il legame ombelicale con le proprie radici geo-storiche, né a caso abbiamo citato Cartier Bresson per la sua passione documentaria del Sud degli anni ’50, anche lui portatovi dall’eco del Cristo di Carlo Levi e dai Contadini del Sud di Rocco Scotellaro. C’è l’una e l’altra in questa rassegna fotografica, in questi frammenti di storia, in questi lampi di esistenza: la temperatura di un intero secolo restituita in quei contorni in bianco e nero, nudi, assertivi, rivelatori. L’intenzione è nobile: ritrovare in quegli scatti istantanei la continuità identitaria di una terra di montagne e di boschi, lambita e poi coinvolta nell’onda seducente della modernità, per poi farne un punto di forza prospettando un futuro di armonica integrazione con la realtà galoppante della globalizzazione. Non ritornare, dunque, solo nostalgicamente al passato facendone un amarcord, ma anche riflettendoci criticamente per un collettivo, laico e civile esame di coscienza.

Ricordo, viaggio, ritorno: ecco forse tutto questo è sintetizzato nella foto di copertina del catalogo dove si vede una sagoma di donna in nero incamminata lungo un viale immerso nella nebbia. Oltre a Pavese, in questo libro sembra così di fare un grande sospiro alla Proust, con quelle madeleines già pronte per un improvviso flashback: in fondo cos’è una foto se non un pezzo di tempo irreversibile, un ritorno impossibile al passato? Ma è qui che può scattare anche lo slancio per ripartire da un luogo e da un tempo determinati e vederli dall’alto come frontiere che dialogano con altri luoghi e altri tempi, senza chiudersi nel recinto di una ‘’casa’’ eretta a mito assoluto e per questo inservibile. Con la società diventata ‘’liquida’’ e già affascinata dall’Intelligenza Artificiale, in una congiuntura storica così colma di inquietudini, è giusto allora e confortante riallacciare i fili perduti.

Il viatico è anche questo catalogo ed ecco sfilare il prima e il poi di una ‘’conca poliocarsica’’ tipicamente garganica insofferente del suo piccolo centro storico, dell’ombelico di quella Palude (‘’in Lamis’’) che le dà un marchio geografico, e allargarsi nei decenni che si succedono nelle immagini nelle nuove piazze, nei palazzi giunti al sesto piano, nell’espansione galoppante verso est (dove a guardare la sottostante valle c’è l’antichissimo baluardo del Convento di San Matteo, ex abbazia benedettina e cistercense), nello snellirsi delle strade finalmente bitumate, nelle nuove chiese che sorgono nei quartieri sempre più numerosi. È un paese che cresce, raddoppia la sua estensione, rompe intere balze rocciose o di vecchi orti rusticamente tranquilli, ma nello stesso tempo, per un’oscura legge del contrappasso, comincia a perdere abitanti, vede partire intere famiglie per la vecchia emigrazione e falangi di giovani armati di pc per un esodo tutto nuovo.

Un paese vuol dire: già, proprio al culmine di una crisi demografica e di appelli alla resistenza o alla ‘’restanza’’, anche per capire perché sta avvenendo in questo e in altre centinaia di paesi del sud il dramma storico di questa contraddizione. Peccato che non siano documentate foto della grande emigrazione che vide anche San Marco in Lamis proiettata verso l’Europa, le Americhe, l’Australia e il Triangolo industriale. Ancora di più si capirebbero alcune dinamiche socioeconomiche e il coinvolgimento sempre più massiccio nella modernizzazione e nella conseguente acquisizione di nuovi stili di vita.

Ben vengano sciorinate sul tavolo della memoria le foto dell’archivio di Bonfitto, benemerito anche per altre iniziative concordate con locali associazioni e per aver inventato singolari ‘’Cartoline sonore’’ recitate in una delle prime radio private del paese, con al centro fatti e persone del luogo. Il catalogo non è semplicemente un prezioso documento di storia, ma un monumento alla memoria, un invito a ritornare alle radici, ad una casa che accolse tutti prima della partenza per l’avventura della vita. La coppia seduta di grandi vecchi a pag. 153, con la donna che guarda davanti a sé e l’uomo con la coppola che sembra guardarla sulla sua sinistra, è l’emblema di una comunità meridionale che seppe assecondare tutte le difficoltà e superarle a favore delle future generazioni. Ecco come il ritorno al passato può trasformarsi in resistenza o in riflessione, al pari di quella donna con la mano sollevata a reggere il mento in uno scatto di pensoso progetto.

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