Un libro, una storia: “Non me ne frego della pubblicità!!”
È proprio vero che la pubblicità è l’anima del commercio. Ma lo è stata anche del regime!! Quello “nero”, del Ventennio, quando facendo qualsiasi cosa c’era il pericolo di sbagliare e di attirarsi addosso l’attenzione non proprio amichevole di tanti “camiciati” neri.
Benito Mussolini era megalomane, e su questo non si discute: esaltava l’italico gesto in tutte le sue fattezze artistiche e sportive. Però non bisognava uscire fuori dal seminato, altrimenti difficilmente si poteva aggiustare il tiro. Anche quando si doveva progettare, produrre e pubblicizzare un nuovo prodotto commerciale, bisognava fare il tutto come dio comanda. Anzi, come Benito diceva!!
È uscito da pochi mesi il libro “Un Martini per il Duce” – La comunicazione pubblicitaria nell’Italia fascista. Mi raccomando: non arrestate subito Giovanna Giannini, l’autrice di questa pubblicazione, leggete almeno prima il libro e poi, cari giudici, agite secondo scienza, coscienza e codice!!
Durante il Fascismo si sviluppò un’arte poco nota, anche perchè la storia ci insegna che con la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Fascismo finì miseramente e con lui quasi tutto quello che venne creato, escluso le scuole ed altre opere pubbliche che sono ancora lì, a sfidare il tempo con le loro dure pietre.
Quest’arte è la pubblicità. Durante il Ventennio ha caratterizzato e influenzato l’arte e la cultura del periodo. All’inizio del ‘900 (prima del Fascismo), la pubblicità si rivolgeva alle élite aristocratiche, gente ben vestita con gli stessi abiti che venivano pubblicizzati: erano reclame dirette verso poche persone che potevano permettersi beni di lusso. Di conseguenza le immagini sui cartelloni e sui giornali proponevano uomini e donne vestiti elegantemente e ambienti ricchi e raffinati.
Con l’avvento del Fascismo la pubblicità si divide in sue “settori”: quello di propaganda e quello pubblicitario. Sui muri delle strade di allora si potevano osservare messaggi di propaganda, in bianco e nero e in caratteri cubitali; e splendidi e coloratissimi manifesti pubblicitari. A realizzarli erano le più eminenti personalità artistiche dell’epoca: Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Seneca, Sepo e molti altri.
Iniziò a prendere vita in quel periodo il Futurismo, straordinario movimento culturale che ha influenzato la storia dell’arte non solo italiana, con artisti come Balla, Boccioni, Marinetti. La sistemazione obliqua dei manifesti della Campari, le ambientazioni surreali e fantastiche, il messaggio forte e di impatto erano le caratteristiche della pubblicità di ispirazione futurista. Così come una grandissima influenza fu rappresentata dal mito della velocità, del volo, del progresso.
La donna rappresentata sui manifesti doveva essere formosa e in stato di grazia: le “Signorine Grandi Firme”, disegnate da Gino Boccasile: provocanti, maliziose, decisamente lontane dall’angelo del focolare voluto da Mussolini. La censura era accondiscendente, non coprendo forme abbondanti o gambe troppo esibite.
Nascono anche i primi concorsi a premi. Famosissimo e di grande risonanza fu quello organizzato dalla Perugina-Buitoni o “5000 Lire per un sorriso”, che nel secondo dopoguerra diventerà Miss Italia.
In quel periodo nacquero aziende famose come: Perugina, Campari, Cirio, Motta. I primi grandi magazzini popolari come l’UPIM e la STANDA; dei primi cibi in scatola e precotti e della spesa fatta presso gli ambulanti, magari poco prima della chiusura, quando la merce costava meno; dei treni popolari e delle crociere da sogno sul transatlantico Rex.
Mussolini usò benissimo “l’arma” pubblicitaria, bandendo anche i termini stranieri dal linguaggio comune. Cercò in tutti i modi di mettere l’Italia su un piedistallo, più in alto di quelli degli altri Paesi. Però si distrasse troppo: non riuscì a capire che le leggi razziali, la dittatura e l’entrata in guerra non erano degli spot pubblicitari.
Ma “reclamizzavano” non dei prodotti commerciali, ma veri e propri modi di vivere in quegli anni.
Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO