Ricordando Antonio Raimondo Pettolino | 1970: un’avventura!
di Nicola Maria Spagnoli
Nel giorno del trigesimo della sua improvvisa ed inaspettata dipartita, mi piace ricordare, per quanto i ricordi dopo cinquant’anni tendano ad affievolirsi, l’amico Tonino, indipendentemente dal fatto che successivamente fosse diventato un celebrato psichiatra ed un uomo impegnato sia nel sociale che in politica.
Lo voglio ricordare per un evento avvenuto tanti anni fa anni fa, nell’estate del 1970, quando entrambi eravamo studenti universitari alle prime armi nella Capitale ma pregni di cultura underground, memori di tanta letteratura alternativa anni ’60 come il mitico On the road di Jack Kerouac, oltre alle comuni frequentazioni politiche di collettivi sanlorenzini (il quartiere di S. Lorenzo a Roma, appena risorto dai bombardamenti, era allora un crogiuolo di idee e di fermenti giovanili!).
Ricordo il suo arrivo Roma proveniente da altra città e università e l’indirizzo che gli diedi come primo alloggio al cosiddetto Albergo del Popolo, un complesso gestito dall’Esercito della Salvezza mentre io stavo già in camera d’affitto presso la famiglia di un ex ferroviere senza figli in p.le Tiburtino, coda della Stazione Termini dove l’unico svago era un piccolo, limitrofo, cinema d’essai: l’Apollo o un parrocchiale, il S. Pio X che noi chiamavamo piox.
Con Tony già mi legava un’amicizia di anni, dalle scuole medie e superiori e poi a Roma all’Università La Sapienza, anche se in facoltà diverse, lui medicina ed io architettura, ma ci vedevamo quasi ogni giorno alla mensa universitaria spacciandoci addirittura per fratelli, per divertirci un po’ e prendere in giro le amicizie romane e comunque nei dintorni della Città universitaria passavamo del tempo, nell’attesa del turno mangereccio, a passeggiare con le morose o ad ascoltare le improvvisazioni di Rommel, un giamaicano che sapeva suonare magistralmente il pianoforte, un piano a dire il vero un pò scassato che si trovava nel piano seminterrato della Casa dello studente in via De Lollis dove c’era anche la mensa universitaria, dove con sole 300 lire prendevi primo secondo e frutta.
Molti pomeriggi poi, più in là, ci riunivamo post-pranzo, nella mia successiva casetta-rifugio a S. Lorenzo, in un vecchio palazzone ottocentesco a ballatoi dove si entrava nei bilocali proprio dal ballatoio di ogni piano (socializzante ma somigliava proprio ad un carcere!) e dove pochi anni prima avevano girato il film-cult I Soliti Ignoti e tanti altri o nel suo successivo appartamentino, un pò più lontano, in via Tiburtina dopo il cimitero del Verano.
Quell’anno mi fece lui stesso la strana proposta di viaggiare, a piedi o in autostop, fino ad arrivare ad una meta mitica: il Circolo Polare Artico in Svezia, accettai e così fu che con partimmo dal paesello con ognuno in tasca ben sessanta mila lire oltre a zaino, vitamine, sacco a pelo, e tanta voglia d’avventura. Ma anche di incoscienza perché durante le tappe notturne dormivamo prevalentemente negli incavi a precipizio dei ponti autostradali (i più sicuri, che se avessimo avuto il sonno agitato saremmo potuti anche scivolare giù!) oppure nei casali abbandonati o sotto le fresche frasche. Incoscienti sul serio perché, facendo autostop, si accettava qualsiasi passaggio da sconosciuti pur di far riposare ogni tanto le gambe come quella volta su di una strana auto di un naziskin tedesco che appena accortosi che eravamo italiani ci scaricò di brutto in una landa deserta, e meno male che ci scaricò!
In Germania passammo un paio di giorni a rifocillarci a Karlsruhe, in casa di un suo cugino che lì viveva con moglie tedesca per poi proseguire fino a Copenaghen dove visitammo, da perfetti turisti beatnik, tutti i luoghi possibili e facemmo amicizia con ragazze locali a cui affittammo (si fa per dire!) i nostri sacchi a pelo per il riposino notturno, riposo en plein air e abusivo naturalmente, nel famoso Tivoli, il parco della capitale danese. Naturalmente, oltre a qualche panino, ci si nutriva di colazioni esagerate nei caffè delle città del nord dove se ti sedevi al tavolo e ne ordinavi uno ti portavano anche una caraffa di latte, una brodaglia scura che chiamavano caffè ed anche biscotti e naturalmente non lasciavamo, dopo la colazione luculliana, nient’altro che briciole sul tavolo!
Finalmente in Svezia trovammo conforto in alcune cosiddette comuni o qualche orribile Ostello della gioventù (anche ad agosto faceva freddo a dormire sotto le stelle da quelle parti!) e poi in un paesino subito dopo Helsinki per un paio di giorni presso casa di amici svedesi conosciuti a Roma che gentilmente ci fecero rifocillare nella loro bella casa e dormire nella accogliente sauna prospiciente la piscina, in casa no, forse non c’era posto! Qualche trenino in Svezia lo prendemmo ma foto fatte al Circolo Polare non ne ho ritrovate nei miei confusionari armadi, in compenso ho trovato questo ritratto di Tony che metto in occhiello, ma ricordo che ce ne furono di foto!
Il viaggio di ritorno fu più faticoso e meno entusiasmante soprattutto perché prendemmo, dopo la Danimarca, la via costiera attraversando Olanda e Belgio dove furono molto scarsi i passaggi in autostop. In Francia invece fu molto diverso, i francesi erano più aperti dei numerosi nostri connazionali emigrati in Belgio che pur parlando in italiano, si fermavano, ci ascoltavano ma poi ci dicevano buon viaggio e proseguivano! A Parigi ci separammo per qualche giorno per il mio ardente desiderio, ero già rockettaro con già tanti dischi di nuovo rock come i primi LP dei King Crimson, Pink Floyd, Jethro Tull etc., di andare all’Isola di Wight dove ci sarebbe stato, proprio in quei giorni, il celebre concerto con tutti i miti del rock del momento e non solo. Io andai a Le Havre, poi in ferry fino a Portsmouth e ancora fino all’isola, dove non riuscii nemmeno ad entrare nell’area del concerto per la calca dei settecentomila, oltre al fatto che si pagava un botto per entrare anche se tantissimi scavalcavano le recinzioni e dove mi rubarono una macchina fotografica e quasi tutti i rimanenti spicci. Ci rinunciai a restare, stanco e malconcio, già in giornata e, ripresa la strada del ritorno, il giorno successivo, il 28 agosto ci ritrovammo con Tony, come da appuntamento, sotto la Tour Eiffel.
Lì cercammo in pochi giorni di vedere un pò di tutto di Parigi ed essendo diventato espertissimo, anni dopo rifeci il tragitto francese e parigino, in camper, con consorte al seguito. Dalla Francia, grazie ad un camionista torinese ci ritrovammo, dopo un passaggio e una abbondante dormita in mezzo a rumorosi macchinari vari, naturalmente in Italia e da lì ai primi di settembre, dopo circa un mese e mezzo e dopo telefonate consolatorie ai nostri parenti ed affetti che ci credevano dispersi, pian pianino giù verso Roma.
Fine dell’avventura!