Ognissanti da noi e in tutto il Mondo (anche in quello che non vediamo)

C’è uno strano filo rosso, o se volete uno specchio come quello di Alice che bisogna attraversare, che collega il mondo dei vivi con quello dei defunti. Non c’è nessuna voglia di lasciare questo Mondo, anche  brutto com’è. Tra la vita e la morte c’è un ancestrale bisogno di continuare un viaggio, che sia un tutt’uno senza nessuna volontà di interrompere nemmeno un discorso lasciato a metà.

Si cerca sempre di tenere viva nella memoria di quelli che ci sono ancora, le vite di coloro che ci hanno anticipato in un Altrove che nessuno ha mai visto. Ma ipotizzato. Cerchiamo spesso un contatto anche di pochi istanti, che possa essere un sogno, oppure una breve visione ad occhi aperti. Oppure avere la sensazione di sentire delle voci che non sono dei vicini, ma che arrivano chissà da dove per darci dei messaggi da decifrare.

Tutti abbiamo avuto delle sensazioni di “entrare” in contatto con una realtà che non riusciamo a vedere, ma che abbiamo tante volte sentito  raccontare da gente che crede, come da gente superstiziosa, e che mette da parte la religiosità “ufficiale” per affidarsi a leggende e racconti che vengono tramandati da sempre.

Il mondo dei vivi non ci basta. Vogliamo “abitare” anche quello dei defunti, però con il nostro corpo ancora da questa parte. Vogliamo conoscere la Verità senza varcare il confine, quello della Porta dello Spavento Supremo. Vogliamo essere inquilini di due abitazioni: quella terrena e quella ultraterrena. Ma pagare una sola… IMU. Proprietari di una sola dimensione, due sarebbero troppo da gestire.

La curiosità dell’uomo non ha limiti e vorrebbe vivere in eterno per poter dire: “Ho vissuto talmente tanto, che so come è andata a finire”. Sarebbe un peccato non sapere “come è andata a finire”. Ma per saperlo dobbiamo arrivare dove il Mondo finisce: nel “Mondo della Verità”.

E per accedervi (ma noi preferiamo che siano quelli che già ci abitano, vengano a ritrovarci), bisogna, come si conviene in questi casi, offrire  qualcosa ai nostri ospiti. In Messico offrono dei fiori tipici, i “cempasúchil”,  soprannominati “i fiori dei morti”, che vengono sparsi a terra, proprio perchè secondo la tradizione servono ad indicare la strada al defunto.

Questi sono anche posti su degli altari, soprannominati “ofrendas”, preparati sia a casa che dinanzi la tomba con del buon cibo a base di carne e fagioli, delle offerte e dei ricordi del defunto. Sugli altari sono posti diversi elementi: la terra, i cui frutti nutrono le anime dei defunti, il vento rappresentato dal papel picado, una fine carta bucherellata, l’acqua versata in un recipiente in modo che le anime possano dissetarsi ed il fuoco attraverso candele e lumini.

Questa usanza del Centro America, ha origini pre-colombiane. Durante questo periodo, la morte era considerata come una nuova rinascita ed un viaggio. Gli Aztechi pensavano che le anime vivessero in un luogo chiamato Mictlan e che dopo 4 anni di permanenza, vi era la possibilità di ritornare sulla terra. Con la conquista spagnola del continente americano fu data un’impronta cattolica a questa festa.

Da non confondere assolutamente con Halloween, che ha origini celtiche, infatti nel giorno dei morti messicani nessuno si veste da vampiro o zombie, ma ci sono solo migliaia di teschi che ricordano i cari defunti. È una vera e propria “rimpatriata”, come quando si aspettano amici persi di vista invitati ad un festa comune.

L’usanza di lasciare del cibo e delle bevande sul tavolo della propria  abitazione sicuramente è un fatto universale. Anche da noi a San Marco in Lamis (FG) si usa ancora, tra la notte del 31 ottobre e il primo di novembre, mettere dell’acqua e del pane sulla tavola per accogliere in un modo molto umile, ma famigliare i nostri defunti.

Cosa che non fece, come racconta una nostra leggenda, una fornaia del posto che non ricordò che in quella notte c’era il passaggio dei “morti tra i vivi”.

 Molti sapranno della storia di questa fornaia che rimase con la sua veste (tunacedda) impigliata nel portone di una chiesa di San Marco  la notte di Ognissanti.

C’è un amico mio che GIURA che quella signora morta da molto tempo, fosse una sua parente, la testimonianza è attendibile.  Questo il racconto in breve: tanto e tanto tempo fa una fornaia sammarchese lavorando di notte sentì il rintocco delle campane di una chiesa.

All’epoca non c’erano orologi, e quindi non seppe esattamente l’ora di quei rintocchi, era comunque notte fonda. Subito si apprestò per assistere alla Santa Messa

In lontananza vide una lunga processione che sfilava lungo le strade del paese. Davanti a tutti c’era il crocifisso, seguito da numerosi sacerdoti, di seguito tanti fedeli.

Alcuni dei quali, secondo la fornaia, avevano alcune membra tra le mani. Come se sostenessero materia che era fuoriuscita dal proprio corpo (per morte violenta??) Ma al buio della notte non potè giurare su questo particolare, ma così le sembrò.

La processione terminò in chiesa e si rese conto, con la luce delle candele, che quella gente presente era un po’… strana: non conobbe nessuno dei fedeli seduti nei banchi.

Allora la signora chiese ad un uomo seduto vicino a lei: “Scusa, ma cos’è questa messa, qualcosa non mi convince” (più o meno disse così…)

Il signore seduto vicino a lei rispose che era una messa celebrata solo per loro… i DEFUNTI che erano appena usciti dai loculi e che si apprestavano a far visita ai propri parenti nelle loro case, dove sarebbero rimasti tutte le notti, fino all’Epifania. Aggiunse quel signore: “Esci immediatamente da questa chiesa, prima che il prete faccia la consacrazione dell’ostia. Altrimenti rimarrai con noi per sempre”.

La signora, morta dalla paura (però ancora viva tra i morti) subito corse verso l’uscita della chiesa. E fece giusto in tempo ad uscire dal portone… però un lembo della sua veste (la tunacedda) rimase impigliata tra le due ante del portone (come si può vedere nel disegno di Antonella Scarano). Se non fosse riuscita ad uscire dalla chiesa sarebbe rimasta con quei defunti, per sempre… una morta vivente.

Questa storia che sembra vera, non ha una datazione ben precisa. C’è comunque della gente che ha identificato la signora in questione. Di cui nessuno vuole o può fare il nome. Questa storia la sentivo raccontare dalle mie zie e penso che potrebbe essere accaduta non più di cento anni fa, e non sono molti.

Sinceramente credo alla disavventura della fornaia: è uno dei tanti misteri che circondano la nostra esistenza. Non dobbiamo  meravigliarci più di nulla. Non sappiamo come è nata la vita e il perchè dell’esistenza dell’universo, e dovremmo avere dei dubbi o meravigliarci di una storia del genere?

Invece abbiamo delle date ben precise e dei riscontri recenti su un’altra strana vicenda, anche se i protagonisti di questa storia non sono i defunti, ma i vivi, che hanno voluto ricordare in un modo molto macabro uno strano episodio.

Ci troviamo a Lukova, nella chiesa di San Giorgio, in Repubblica Ceca. Nel 1968, durante la celebrazione del funerale di una donna, il tetto dell’edificio per motivi sconosciuti è disgraziatamente crollato sulla testa dei presenti, provocando la morte di 32 persone.

Da quel giorno il soffitto della chiesa è reputato maledetto e portatore di sventura, motivo per cui la chiesa non ha accolto visitatori per un lunghissimo periodo di tempo. La gente del luogo non volle più entrare per paura di subire qualche disgrazia e rischiare di perdere la vita come quelle povere persone.

Per evitare la chiusura e il conseguente degrado dell’edificio, l’artista Jakub Hadrava ha installato all’interno 32 fantasmi fatti con della calce, in memoria delle 32 persone morte tra i banchi. Oggi il luogo è davvero affascinante e lo spettacolo cui si assiste una volta entrati lascia i turisti perplessi ed estasiati a tal punto che i soldi raccolti hanno permesso la ristrutturazione integrale del monumento.

Però, ci sono alcune zone dove per vedere l’invisibile o quello che viene immaginato, ci si organizza diversamente. A Castiglion Del Bosco (Siena), in questa notte, le streghe si uniscono ai morti in una specie di ballo, dove si gira per quelle strade: una processione non lineare ma coreografica. Il problema è che tutto ciò non è visibile, a meno che non si metta, ad un incrocio, un catino con dell’acqua dentro. In questo modo i protagonisti di questa macabra danza, potranno essere visibili anche ai vivi, riflettendo i loro corpi in quel catino.

Sono appena quattro storie, quelle raccontate, di come siamo sempre alla ricerca di una porta, che ci conduca in un’altra stanza dove vorremmo trovare delle chiavi che aprissero ulteriori cassetti, dove sono conservati tanti manoscritti con sopra le risposte alle nostre domande.

Questa porta non si trova. O almeno non la troviamo normalmente, con i nostri metodi quotidiani. Eppure ci sono delle persone che giurano di aver trovato la chiave per mettersi in contatto con quelli che non ci sono più.

Roberto Setti (1930-1984). La sua medianità venne scoperta per caso nel 1946, quando aveva quindici anni. A causa della morte del fratello Ruggero, la mamma propose di fare una seduta spiritica col sistema del tavolino, sperando di potersi mettere in contatto col figlio deceduto. Il tavolino quasi immediatamente levitò e iniziò a battere colpi. La cosa, così inaspettata, e la presenza del giovane Roberto, consigliarono di smettere per riprendere la sera successiva senza di lui. Senza Roberto non successe nulla.

Da quel momento Roberto Setti “diventò” il medium del gruppo, anche dopo la sua morte prematura continuarono le sedute spiritiche con la presenza di Roberto Setti che si manifestava, attraverso un altro medium,  ai suoi amici descrivendo in un modo non chiaro quella che era la dimensione in cui in quel momento viveva.

Tutto ciò che proveniva da quell’altra dimensione cadeva letteralmente sul tavolo, dove c’era il gruppo dei partecipanti a quelle sedute: pettini, bottoni d’ottone, collane, fiori, gioielli… tutto d’epoca. Evidentemente erano degli oggetti che erano appartenuti a gente che adesso non viveva più nel nostro mondo.

Questi oggetti sono ancora conservati dai componenti del gruppo. E vista l’attività che dura da decenni, gli esemplari “caduti dal cielo” dovrebbero essere migliaia.

Le porte d’accesso a ciò che dovrebbe esserci ma che non vediamo, forse ce ne sono tante. Soltanto che non riusciamo a trovarle e se le troviamo forse non sappiamo come entrarci.

Ricordiamoci sempre che le dimensioni non sono tre, quelle sono le visibili. Poi bisogna aggiungerne altre otto. Per un totale di undici, più il tempo.

Il discorso, come si vede, si complica non di poco. Buona ricerca della Verità. E non è detto che quelli che la predicano tutti i giorni dai pulpiti… l’abbiano trovata!!!

Soundtrack: “L’arcobaleno”, canzone inviata dall’Aldilà da Lucio Battisti a Mogol (una strana storia ma vera!!!)

Film recommended: “Al di là dei sogni” di Vincent Ward

Book recommended: “Les Revenants” di Emmanuel Carrère

Mario Ciro Ciavarella Aurelio

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