Il mostro di Firenze: “Un agnelluccio e un lavoratore della terra agricola”

Non è mai troppo tardi: ventotto anni dopo la procura di Firenze decide di indagare sul controverso ritrovamento del proiettile calibro 22 marca Winchester Long Rifle serie H rinvenuto nell’aprile 1992, nell’orto di Pacciani. Dopo giorni di perquisizioni e con strumenti sofisticatissimi, dalla Squadra mobile fiorentina, indagato per i delitti del mostro di Firenze.

Quel proiettile trovato quasi in diretta televisiva non aveva convinto tutti, però il mostro lo si doveva trovare. E lo si trovò!! Anzi i mostri erano più di uno: oltre a Pacciani, c’erano Mario Vanni e Giancarlo Lotti, condannati all’ergastolo in via definitiva come autori materiali di 4 duplici omicidi, i cosiddetti “compagni di merende”. Mentre, Pietro Pacciani condannato in primo grado a più ergastoli per 7 degli 8 duplici omicidi e successivamente assolto in appello, è morto prima di essere sottoposto ad un nuovo processo di appello, da celebrarsi a seguito dell’annullamento nel 1996 della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione.

E c’è un altro compagno di merende, morto due anni fa: Fernando Pucci, amico degli altri tre, invalido al 100% essendo affetto da ritardo mentale. Non subì nessuna condanna, depose contro Pacciani e Vanni come testimone oculare degli ultimi due omicidi (quello del 1984 a Vicchio, e quello del 1985 a Scopeti).

Nonostante le sue deposizioni siano state più volte contraddittorie, e nonostante il suo forte disagio mentale, la legge italiana credette alle dichiarazioni del Pucci. E grazie alla sua testimonianza, vennero condannati i suoi amici di cui sopra. In pratica, un testimone chiave, molto più forte del bossolo che venne messo (chissà da chi) nell’abitazione di Pacciani, per poterlo accusare più facilmente. 

Fernando Pucci entra in questa maledetta storia del Mostro di Firenze, poiché era stato tirato in ballo da Giancarlo Lotti, dicendo di aver visto Pacciani, armato di pistola, e Vanni, armato di coltello, sul luogo del delitto. Sempre Pucci raccontò che Pacciani e Vanni invitarono lui e Lotti ad andare via per non essere uccisi anche loro.

I due “guardoni” si trovarono nel momento sbagliato, al posto sbagliato: due tragiche coincidenze??

È strano come tutta questa vicenda sia stata risolta partendo dalla fine: agli ultimi due duplici omicidi. Eppure tutta la storia del Mostro di Firenze iniziò nel lontano 1968. Evidentemente gli investigatori, non avevano valide motivazioni per incastrare Pacciani e soci.

Inoltre, tutta la storia di come si sia giunti a Pacciani è molto strana: una semplice lettera anonima inviata alla polizia nel 1985, dove si diceva che in zona viveva un contadino che in gioventù aveva ucciso un rivale in amore e che maltrattava moglie e figlie. Ma nessuno straccio di prova portato alla polizia. Ma soltanto, come dire: andate e vedete voi.

Pietro Pacciani era un “agnelluccio e un lavoratore della terra agricola”, come si definiva davanti ai giudici durante le udienze. Ricordando alla corte che “da piccino il mi’ babbo mi fece una zappetta per lavorare la terra”. Quindi, una persona proba, senza macchia e senza peccato.    

Visto e considerato che a distanza di qualche decennio non se ne ricavava nulla per condannare Pacciani, durante una delle tante udienze, il Pubblico Ministero tirò fuori un quadro che sarebbe una delle prove convincenti per far condannare il Pacciani.

Il commissario Perugini, capo della Squadra Anti Mostro, autore del sequestro del quadro, sottolineava come questo quadro “raffigurasse alla perfezione quelle aberrazioni sadico-feticistiche che costituivano la quintessenza dei crimini dell’assassino delle coppiette”.

In pratica, si era giunti a giudicare un potenziale assassino, da un quadro… che non aveva fatto nemmeno Pacciani!!! Ma era una raffigurazione in bianco e nero acquistata dal contadino di Mercatale e che poi l’aveva colorata!!

Le indagini, come si può ben capire, non riuscivano a fare un passo in avanti. Ci si appoggiava su fesserie del genere: un quadro come prova quasi definitiva per condannare un imputato… non so se mi spiego.

E dopo varie vicissitudini, senza venirne a capo in alcun modo per sbrogliare la vicenda, si arriva alla fatidica frase: “compagni di merende”. Frase straordinaria, goliardica e tragica allo stesso tempo. Rimasta nel linguaggio comune per dire: di un gruppo ristretto di persone che si divertono a passare il tempo tra un bicchiere di vino e una gita in campagna senza una meta ben precisa.

La frase venne dette da Mario Vanni, professione postino. Sentito come testimone al processo Pacciani, il postino, alla domanda «Signor Vanni, che lavoro fa lei?» rispose: «Io sono stato a fa’ delle merende co’ i’ Pacciani.» A quella risposta, Pacciani sorrise in un modo sorpreso e compiaciuto, e per poco non gli cadeva a terra uno stuzzicadenti che aveva tra le labbra.

E da quel momento, questo modo di dire cambiò significato nella mentalità degli italiani, diventando: “persone legate da un rapporto losco o poco onesto”. Più o meno, adesso, significa così. 

Era comunque un gruppo di amici, sicuramente guardoni oltre che dediti all’alcool, e che nel corso del dibattimento processuale, ai cosiddetti “compagni di merende” e nei controinterrogatori fatti al Lotti dalla difesa di Mario Vanni, si evidenziarono numerose incongruenze in ciò che riportava lo stesso Lotti; in pratica il Lotti riferì alcuni fatti e particolari dei delitti che oggettivamente non potevano essere considerati attendibili.

Ormai si andava verso una miscellanea di dichiarazioni da parte del “gruppo in gita”, più o meno attendibili. Il processo procedeva in modo discontinuo e poco chiaro. 

E alla fine spunta l’ultimo compagno: Fernando Pucci, morto due anni fa. Lui non è mai stato accusato di omicidio. Ma si è trovato involontariamente ad assistere a due duplici omicidi (??!!) Ma come si fa a trovarsi per caso, di notte, con un amico (Giancarlo Lotti) sulle colline toscane e trovarsi davanti Pacciani e Vanni che uccidono coppiette?

E chi lo sa??? Per la giustizia italiana invece è stato tutto chiarito, o quasi. Infatti non sappiamo come avrebbe giudicato in via definitiva Pacciani, visto che è morto improvvisamente prima dell’ultima udienza. Quella definitiva! E ora, spunta fuori la storia della revisione dell’unico proiettile trovato fuori dal campo d’azione del mostro. L’ipotesi è che le striature lasciate sul metallo del proiettile, trovato da Ruggero Perugini, allora capo della Sam, la Squadra antimostro, non siano state prodotte “dall’incameramento” del proiettile nella Beretta calibro 22, ma forse sono state manomesse.

Il mostro di Firenze forse è ancora libero. Oppure è morto. E se è morto non potrebbe essere Pietro Pacciani.

Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO

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