Un film, una storia: “Tutto il mio folle amore”

Le disgrazie sono come le ciliegie: una tira l’altra! Ne sa qualcosa Franco Antonello, papà di Andrea, ragazzo autistico; e di Alberto, il ragazzo che pochi giorni fa ha causato un incidente stradale dove è morta la fidanzata. Franco Antonello però è salito alle cronache pochi anni fa per aver intrapreso con il figlio autistico, un lungo viaggio in America, “rincorrendo” suo figlio.

“Rincorse” straordinarie” che ad ogni folata di vento, si ringiovanisce. È come se il vento che entra tra i capelli e negli occhi di chi rincorre un amore, come quello per un figlio, faccia ringiovanire: le rughe scompaiono e i passi diventano più veloci. La vita “on the road” di papà Franco e del figlio Andrea è diventata prima il romanzo, “Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas, e poi il film “Tutto il mio folle amore” uscito pochi giorni fa di Gabriele Salvatores.  

Il film è molto romanzato rispetto alla vita reale degli Antonello: ci sono due papà (quello reale e quello… putativo), la mamma e il figlio Vincent. E tutti partono per un lungo viaggio per scoprire chi sono e quale ruolo occupano in quella “strana” vicenda: avere a cuore le sorti di Vincent. Che corre sempre!!

I protagonisti sono marionette del destino: Willi, Elena e Mario vengono infatti manovrati da Vincent che li trascina in un’avventura picaresca tra Slovenia e Croazia, impedendo loro di adagiarsi su una quotidianità fino a quel momento accettata come immutabile.

E da questo momento inizia la vera storia di Vincent, “il bambino delle fate”. “Questo”. Vivono solo il presente, senza ricordare il passato. E senza nemmeno immaginare lontanamente il futuro. Ogni volta che gli si chiede qualcosa che ha abbia che fare con la loro vita, rispondono: “Questo”. “Qual è il tuo amico preferito?” “Questo”. “Qual è il posto più bello che hai visitato?” “Questo”. “Qual è il più bel bacio che ti hanno dato?”  “Questo”. Vivono nel presente. Come unica unità di misura della loro vita. E vivono anche felici, nel loro mondo. Ma soffrono come tutti, quando il loro mondo viene “messo in discussione”. Quando vengono esclusi dal mondo che li circonda.

Vengono chiamati “I bambini delle fate”, sono i bambini autistici. Sono affetti da un disturbo neuro-psichiatrico, caratterizzato da una marcata diminuzione dell’integrazione socio-relazionale. E spesso il loro linguaggio è composto da pochissime parole.

Chissà come sarebbe, vivere come questi bambini, se tutti noi cosiddetti “normali” vivessimo per qualche tempo solo… nel presente, senza avere il concetto di tempo passato e futuro. Potremmo tutti vedere… le fate, come fanno questi bambini. Vivere in un mondo che esiste solo nei libri per l’infanzia, dove tutto è perfetto: i buoni vincono e i cattivi perdono.

I bimbi autistici sono nati così perchè il destino così ha voluto (se vogliamo entrare subito nella mitologia), ecco perché questi bimbi vengono definiti “delle fate”. Il nome “fata” deriva dall’altro nome latino delle Parche che è “Fatae”, ovvero coloro che presiedono al Fato (destino).

E molto probabilmente le fate vengono anche viste da questi bambini. Altrimenti non si spiega il perché sono diversi da noi e quindi speciali. Se fossimo nati tutti autistici non avremmo… conti da regolare con il prossimo, niente rancore, niente vendette. Ma solo il piacere di vivere il momento: quello che mangio adesso, quello che vedo adesso, quello amo adesso.

Una felicità infinita senza fare paragoni con quello che ho amato o mangiato in passato. Senza fare progetti per il futuro che quasi sempre non si avverano. Ma solo quello che penso e faccio ora. E allora, ci alziamo la mattina e già godiamo i raggi di quel sole (se c’è) o l’ombra delle nuvole (se ci sono). Colazione, lavoro o studio, si ritorna a casa.

Tutto fatto in quel momento, non avremmo più il ricordo di quello che è stato. Si vivrebbe così per sempre, senza progettare guerre o cattiverie, poiché non avremmo il senso del futuro. Ma solo vita su vita, secondo dopo secondo, istanti che spingono altri istanti per avere vita anche loro.

Ci sposeremmo senza sapere se domani ci saranno dei problemi, poiché il mondo autistico non prevede problemi… futuri. I problemi non esistono per gli autistici, poichè i problemi li fa nascere il tempo. Ma il concetto di tempo per gli autistici non esiste, quindi ci ameremmo per sempre.

E vedremmo le fate. Quelle vere che hanno deciso così: destinati a vivere per la vita e non per vivere per il dopo. Il dopo è un concetto di noi “normali”.

Infatti viviamo sempre per quello che faremo domani…  e non sempre lo facciamo.

Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO

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