Nessuno tocchi Barabba!

di Tonino Daniele

Era una sera molto vicina alla notte, ma un bagliore vivo e vacillante, come fiamma ardente, inondava di luce quella segreta in cui attendevano l’ora ultima della loro vita, l’esecuzione della loro condanna a morte. Insieme al Nazareno, un masnadiero assassino, uno sciagurato ladrone, di nome Barabba. Era sdraiato sul dorso, in un angolo della cella e le numerose cicatrici del suo viso godevano di una leggera brezza che trascinava nel sotterraneo della prigione un dolce profumo come di fiori da frutto precocemente sbocciati. Per un attimo volse lo sguardo verso quel falegname quasi a voler ricercare, oltre al destino, qualcos’altro in comune e subito si ricordò di quando, per sfuggire all’arresto della gendarmeria che lo rincorreva per tutta Gerusalemme, si nascose nel Tempio dove incontrò proprio lui, ancora adolescente, che parlava ai dottori della Legge e richiamò alla memoria la frase che rivolse ai suoi genitori che, angosciati, per giorni lo avevano inutilmente cercato: <Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?>. Strana ed insolita coincidenza: anche il suo nome era Bar – Abba, figlio del padre, ma la cosa non gl’importò granché, preoccupato com’era perché prossimo al supplizio estremo.

Con gli occhi spalancati e fissi nell’ombra, ancora sdraiato e tremante come un bambino impaurito, si perse nei ricordi della sua vita, della sua inutile vita, cercando di allontanare da sé quel tragico ed inevitabile momento. Si girò, allora, verso la finestrucola della cella con la speranza di scorgervi, tra le grate, quella luna che rendeva il cielo di un chiarore mai visto prima. Ne rimase, però, deluso: scorse solo il luogo dell’esecuzione con le croci già pronte per l’uso e subito pianse amaramente nelle sue mani.

<Non ostinarti a cercare la luna>, si rivolse a lui il Nazareno, pacatamente e con il capo chino: <è Altro quello che brilla, che luccica; la luce oggi trafigge la notte, ma domani l’oscurità avrà la meglio e sarà buio su tutta la terra; la brezza si trasformerà in vento sferzante e devastante> e concluse, alzando lo sguardo ed incrociandolo con quello di Barabba: <non angustiarti, amico mio, quelle croci non sono per te>. Ma Barabba non capì quelle strane parole rivoltegli: la condanna a morte era “passata in giudicato”. Nessun incidente nell’esecuzione della pena, nessun atto di clemenza possibile per dannati e reietti come lui. Nessuna grazia. La sua sorte, segnata. Eppure, continuando a fissare quel volto sereno quasi chiamasse a sé la sua fine, per un attimo, un attimo infinitamente breve, credette a quelle parole, si affidò a quella Verità (e non era la prima volta: era presente a quel banchetto nunziale in cui trasformò l’acqua in vino). Ed ecco che i loro sguardi s’incrociarono nuovamente in un tempo che sembrava infinito e con un impercettibile segno del capo, Gesù lo invitò a guardare nuovamente il cielo; sembrava – questa volta – poterla toccare, la luna, tanto era vicina. Illuminava “a giorno” il Golgota dove, però, notò solo tre croci. Non credette ai suoi occhi: le contò una ad una; in cella, però, erano in quattro in attesa dell’esecuzione: Gesù il Nazareno, lui Barabba ed altri due sui bravi, Gesta e Disma. Ed allora capì che in quella Parola era racchiusa la sua salvezza, la sua redenzione. Cadde in ginocchio davanti a Gesù che con un lembo delle sue vesti gli asciugò il sudore gelido che bagnava le sue tempie; intanto, lui, con la gola serrata dal pianto, reprimendo faticosamente i singulti, balbettava la sua Fede: <Mio Signore, a te raccomando lo spirito mio!>.   

  Gli eventi si susseguirono e il mattino seguente il rumoreggiare della folla in rivolta si udiva fin dentro i sotterranei della prigione. Uno dei secondini presenti, notata l’angoscia montare sul volto dei carcerati, mosso a compassione, parlò loro della sommossa popolare contro il Nazareno, della sua cattura e del tradimento da parte di un suo discepolo. Intanto, aumentava il clamore della folla inferocita: <crocifiggilo!>, e la voce di Pilato, inutilmente persuasiva: <io non trovo in lui alcuna colpa, perché volete versare il sangue di un innocente?>, e ancora la folla strepitava: <a morte il Nazareno!> e, subito dopo, il nome di Barabba riecheggiava su tutta la piazza del pretorio: <Barabba! Barabba!>. Chiese, allora, al carceriere cosa stesse succedendo, perché il suo nome veniva urlato, quasi osannato, dalla folla; <Pilato ha ricordato che c’è uso di rilasciare libero un condannato per la Pasqua ed il popolo ha scelto te al posto del Nazareno>, rispose il carceriere. Istintivamente si fissarono entrambi con lo stesso pensiero, lui Barabba e Gesù il Nazareno.

Ed eccolo, uomo libero, correre verso una nuova vita: non innocente, ma salvo; redento da quello sguardo imprigionante ed amorevole, totale e compassionevole. Sapeva di non poterne più fare a meno e seguì, così, il Nazareno fin sul Golgota e, nonostante fosse defilato tra la folla, i loro sguardi s’incrociarono per l’ultima volta e subito <si fece buio su tutta la terra, il velò del Tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse e le rocce si spezzarono>. Rimase lì fino alla fine e, sulla strada del ritorno, ancora con il pensiero rivolto a quello strazio, a quelle urla di dolore, a quel rantolo dell’agonia che ancora sentiva, come un’eco, nelle sue orecchie, incrociò un centurione, uno dei carnefici: aveva tra le mani le vesti del Nazareno quasi a volersene disfare (dopo averle tirate a sorte). Erano macchiate di sangue ancora umido, quel sangue aveva preso il posto delle sue lacrime: <Dalle a me> disse Barabba, supplicandolo; <hanno un prezzo: trenta denari!>, rispose, sprezzante, il centurione; <affare fatto! Ecco i tuoi maledetti trenta denari>.

Lo ritroviamo, anni dopo, tra i discepoli del Nazareno in una di quelle loro assemblee segrete, continuamente rifiutato da quelli che non lesinavano genuflessioni ma sempre con l’indice puntato, giudici, in terra, del bene e del male: <Non puoi essere uno dei nostri!> dicevano; <la tua vita è stata barattata con quella del nostro Messia: cosa vuoi di più?>; ed ancora: <tu dovevi essere su quella croce!>, ignari che tutto era scritto dovesse andare così, che solo attraverso “quella” croce poteva realizzarsi il progetto salvifico dell’Uomo e lui, Barabba è stato il primo a beneficiarne, nonostante tutto, nonostante si sia creduto, inizialmente, indegno di tale favore. E guai a “limitare” l’azione salvifica del Messia: ha perdonato chi lo ha rinnegato; forse ha salvato chi lo ha tradito; volete che da questo suo progetto rimanga fuori proprio Barabba? Che nessuno osi toccarlo!

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