Il chiosco nella Villa Comunale

di Mario Ciro Ciavarella Aurelio

Millenovecento. Un nuovo secolo appena nato. E sotto le fondamenta del nostro paese c’era anche un piccolo cimitero, quello dei “morticelli”. I piccoli defunti venivano inumati sotto l’attuale chiesa della Madonna delle Grazie. E non solo in quella zona, ma il cimitero dei più piccoli si espandeva anche sotto l’attuale viale che costeggia la chiesa e interessava anche l’ingresso dove c’è il cancello del centro polivalente.

Quasi confinante con questa zona (affacciandosi su lungo Jana), c’era un orto di proprietà della chiesa di Sant’Antonio Abate che comprendeva la zona nord della villa comunale. Orto venduto al Comune per far prendere vita alla villa. Nel 1900.

Come quando nacque il chiosco. La data della costruzione della nostra villa era stata messa proprio sul chiosco (non so se è ancora visibile). E da questo punto iniziamo a parlare (e romanzare) del chiosco della villa comunale.

Verrebbe da dire ex chiosco, visto che sono passati troppi anni da quando è stato chiuso. Dicono che non si possa riaprire per un contenzioso con il comune. E infatti è da troppo tempo che si trova in uno stato di deperimento ormai irreversibile.

Sono ricordi personali. E il primo ricordo riguarda il jukebox che d’estate prendeva vita a fianco del chiosco. Lì dentro c’erano dischi “freschi”, nel senso che erano canzoni non delle estati precedenti, ma prodotti pochi mesi prima. A pensarci bene, considerando l’enorme spazio in cui il jukebox “si esibiva”, la qualità audio non era male.

Spesso si potevano selezionare anche canzoni di cantanti locali, ed era una giusta trovata: non c’era internet e i mezzi di comunicazione erano scarsi. E allora si sentivano brani come quelli di Angelo De Maio, Mikalett e Le pietre azzurre e di altri cantanti del posto. E quando il tuo disco era in un jukebox, sembrava che il successo fosse arrivato!!!

Ricordo che era un jukebox non molto grande, forse per poterlo conservare senza tanti problemi nel chiosco stesso a fine serata. Ed era anche indistruttibile: chissà quante pallonate avrà preso da frotte di ragazzini che giocavano lì vicino.

Il gestore del chiosco sistemava anche alcune fila di lampadine colorate!! per rendere le serate più intime. I tavolini non erano molti, ma si moltiplicavano quasi per miracolo nei giorni della festa patronale!! Quando si doveva assistere al concerto del cantante famoso che veniva… direttamente dalla RAI Radiotelevisione Italiana.
In questo caso i tavolini moltiplicati servivano anche per farci salire sopra i bambini per meglio fargli assistere al concerto. In quei giorni non c’era più un confine tra chiosco, palco e aiuole: diventava un tutt’uno!! Chi comprava qualcosa al chiosco, lo consumava quasi sul palco.

C’erano due liste per i gelati inchiodate ai due angoli del chiosco: “Algida” e “Eldorado”, la prima lista era più d’elite, la seconda più… terza-terza. All’epoca i gelati più richiesti erano il Moretto (sputenicchie), il Lemonissimo (lu jacciol) e un altro ghiacciolo piu piccolo e sottile (lu suca suca). E spesso venivamo serviti da ragazzini che si affacciavano alle due finestre laterali del chiosco.

Erano dei “dipendenti” del gestore, quasi sempre i suoi figli. I prezzi scritti sulle due liste dei gelati variavano verso l’alto: costavano un po’ di più rispetto al prezzo originale (la legge lo permetteva). Ma non era un dramma: vuoi mettere potersi sedere al fresco della villa comunale con una canzone come sottofondo ed assistere a decine di ragazze/i che ti passavano davanti?

E in quelle occasioni i giovani “pessijavano” (richiamo sonoro, un sibilo, di difficile definizione fatto con le labbra e con la lingua), chissà qualcuna di queste rispondesse a quel richiamo e si avvicinasse. In modo che il giovane proponente potesse dire: “Te pozz offrì cacche gelat?”

Spesso la risposte era: “scì”. Non per il ragazzo, ma per poter mangiare un gelato (all’epoca la lotta per la sopravvivenza era ancora in atto…) E ci si sedeva con il ragazzo invitante, e si discuteva sulla scuola frequentata, sugli amici che si avevano, e di quale parrocchia fossero.

E poi i gusti musicali!!! Era lì che molti si giocavano le ultime carte: bisognava dimostrare alla ragazza appena conosciuta che si preferivano i cantanti “beat”, possibilmente stranieri. E non quelli melodici all’italiana.

Intanto il jukebox prendeva vita ancora una volta, e la musica che usciva da quelle casse era un pretesto per allontanarsi e continuare a chiacchierare in un posto meno rumoroso.

Dopo la festa di San Matteo si capiva che quel chiosco stava per andare in letargo. I tavolini venivano riaperti non tutti i giorni, le foglie che cadevano dagli alberi coprendo buona parte della villa erano sempre di più, e si aspettava che il freddo andasse via. Mesi di attesa.

Ma poi, con l’arrivo della primavera si vedeva riaperta la porta del chiosco che timidamente rinasceva. Il jukebox ricominciava a vagire, ed anche le prime note di nuove canzoni uscivano da lì dentro… “Ho raccolto il mio coraggio, che mi importa se c’è lui, se ci scopre tanto peggio…”

Oppure: “A cinque anni io mi arrampicavo sopra un pianoforte a poi…”, “Dammi il tuo amore non chiedermi niente…”, “Nel più bel sogno ci sei solamente tu…”.

Speriamo che qualcosa di simile ad un jukebox possa prendere vita vicino al chiosco della villa comunale. Il chiosco consideriamolo un monumento: se lo si guarda bene, è maestoso, imponente, ha un suo stile.

Ed è un signor chiosco, dell’età di 122 anni!!!

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