Città vuote

Non si sentono più i respiri. Come quando si aveva la sensazione che qualcuno ti seguisse. Anche da lontano. Non per pedinarti: ma per proteggerti. Così come si diceva tanto tempo fa, degli angeli custodi. Erano sempre dietro di noi, o almeno quando ce n’era bisogno. Adesso quel bisogno è “per sempre”. Un “sempre” che diventa eterno, se si pensa a quello che sta succedendo da alcune settimane. Un “sempre angelico” che vorremmo non finisca mai!

I respiri degli angeli custodi fanno fatica a farsi sentire: forse anche loro sono un po’ stanchi. L’eternità ha anche i suoi difetti. E anche l’anzianità di servizio inizia ad essere un po’ avanzata. Ci vorrebbero altri angeli più giovani e allenati per starci dietro. E poi, quando si incontrano tra di loro, cosa si dicono? Parlano delle anime salvate oppure fanno discorsi sempre uguali, fatti chissà da quanto tempo? Ma forse non parlano proprio: lo fanno con il pensiero, una serie di messaggi subliminali come quando si comunica a distanza. Telepatia.

Né sospiri e né uomini. Nulla cammina ormai da tempo nelle nostre vie. Città completamente assolate, in un inverno un po’ troppo strano: caldo, a volte afoso. Forse una premonizione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto! Una natura snaturata da noi: gli ultimi ad essere apparsi, e gli unici a rompere i c… al resto del creato. La natura se n’è accorta e si sta difendendo. Le città costruite da noi sono innocenti! E si ritrovano a farci da rifugio quando ne abbiamo bisogno.

Palazzi che non danno segni di vita, da fuori. Ma dentro c’è tutta l’umanità che cerca comunque di uscire: con tutte le comodità che abbiamo adesso, pensiamo di uscire per forza?? E allora ha ragione il virus!! Strade che sembrano fatte da poco, non soffrono più i passi spesso inutili di gente che vaga. Itinerari e percorsi guardati dalle finestre: sono occhi che adesso ci giudicano, prima no. Occhi non più distratti, non più indifferenti ai nostri passaggi, alle nostre discussioni.

E tra di loro le finestre sorridono, non hanno bisogno di parole, ma ci giudicano senza parlare, con delle smorfie, abbassando gli occhi quando vedono qualcuno che esce per la terza volta con le solite buste della spesa appena fatta: per camminare! Sembra che abbiano anche le palpebre, le finestre. Di notte le abbassano, riposano anche loro, anche se adesso le abbassano di meno: sono delle vedette che vorrebbero suggerirci come comportarci. Loro sanno come “non muoversi”: sono degli infissi che da lì non si sono mai mossi!

Quando si chiudono le serrande poi è la fine: nessuno ci dà un minimo di suggerimento. Stiamo fuori. Da soli. Sapendo che non dovremmo essere lì. Le finestre ci lasciano sbagliare: ci danno un libero arbitrio che fa invidia al creatore.

E fuori ci sono anche i pali della luce: segni di vita notturna che disegnano le nostre ombre. Lunghe e spesso con poco contorno. Come uomini che sanno di aver finito la vitalità di una giornata. Loro sono sentinelle che ci dicono quando la sera è arrivata. Non avendo molto da “sagomare” in questi ultimi giorni, stanno aspettando che la vita riprenda come prima.

Vengono visitati dai cani, che a volte li annaffiano trovando un punto di appoggio. Ma loro, i pali, non si lamentano, sono abituati. Sanno da contratto che riceveranno anche quello. Anzi, negli ultimi tempi sentire quella solita sensazione alla loro base, significa che ci sono ancora esseri viventi che devono espletare. E fin quando si espleta, c’è vita…

Si ha la sensazione che i pali della luce diventino tutti un po’ curvi: come se volessero vederci chiaro! Forse non hanno capito quello che sta succedendo. Sanno che tanti umani non possono più girare liberamente, ma non sanno il perchè! E si abbassano, illuminando di molto quella solita fetta di mattonelle che illuminano da tempo. Vogliono vedere se nel piccolo c’è qualcosa.

Iniziano ad insospettirsi e pensano: “Tutta corrente sprecata! Che ci spegnessero!” Anche i pali hanno una dignità, cari pali della luce, abbiate fede, sperando che il male invisibile vada via in fretta… anzi, aiutateci a trovarlo, aumentando la vostra potenza e accecando il nemico piccolo ma pericoloso. Sperando che la luce sia con noi…

Comunque le porte e i portoni si aprono e si chiudono. Come sempre: c’è gente che deve andare a lavorare. E poi c’è da fare la spesa. E poi basta. Sono finite le scuse. Si apre una porta, delle gambe si muovono con calma, vogliono prendere tempo. Altre gambe si incontrano, non ci sono dialoghi: è pericoloso. I visi sono quasi tutti mascherati. Poche parole viaggiano nell’aria: per quello che servono. Solo le gambe ci dicono che c’è ancora vita: il resto del corpo non serve.     

Un’umanità fatta solo di gambe: si fermano, si allontanano almeno di un metro. Poi camminano e si fermano di nuovo. Sembrano tanghi di nuova generazione e che non hanno bisogno di far incastrare le gambe dei ballerini. Tanghi mobili e a distanza. La mobilità adesso è importante. Più si sta sullo stesso posto e più si rischia. Quindi muoversi, camminare e rigirare. Il panorama umano non è più così importante: chi è quello e cosa ha detto quella, non interessa più a nessuno.

Nelle città vuote quello che interessa è il tempo. Quello dell’attesa. E il tempo che resterà.

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