Aspettando il “Fuoco Sacro” delle Fracchie

di Tonino DANIELE

Illuminano la notte, ne mitigano la freddura; i bimbi, ingenuamente, pensano che il loro bagliore aiuti la Madre Addolorata nella ricerca disperata del Figlio flagellato e crocifisso per le colpe altrui. Ma Lei, proprio Lei, non ha bisogno di alcuna luce: riuscirebbe a scorgerlo nella notte più cupa, più oscura. Per alcuni è solo una competizione, una sfida: la più bella, la più grande, quella che brucia meglio. Ma in quel gigantesco tronco di legno tagliato a cono e riempito di altra legna brucia tradizione e sacralità: il fascino della tradizione ed il mistero della sacralità e guai ad escluderne uno a vantaggio dell’altro. Il loro incedere – insieme alla processione della Vergine Addolorata – si snoda verso l’oriente della Resurrezione lasciandosi dietro la notte con la sua morte e la sua Passione.

Si aspetta il crepuscolo (che all’inizio della primavera tarda a venire), quando il sole abbandona la terra e l’azzurro il cielo, ed ecco lo scoppiettio, accompagnato da scintille che salgono in alto, si confonde al lamento doloroso e straziante dello Stabat Mater: <Quis est homo,/ qui non fleret,/ Matrem Christi si vidéret in tanto supplício?>.  E poi quelli che chiamano “fracchisti”, che per giorni si sono dedicati – con devozione – alla realizzazione delle “fracchie”, con i loro gesti coordinati e rispettosi di quel dolore materno che loro avvertono come struggente, pronti e fiduciosi – però – che il loro lavoro, i loro sforzi non saranno vani, che quel dolore, quello strazio, si trasformerà, dopo tre giorni, in speranza, in gioia, in festa: <Vidit suum dulcem natum/ moriéntem desolátum,/ dum emísit spíritum>.

E se quel fuoco processualmente trainato, che afferra tutti e tutti introduce nel mistero della grande Agonia, non illuminasse solo un tragitto ma fosse qualcosa di più? Se illuminasse più sentieri: quelli di ciascuno, sempre più tortuosi ed oscuri; se illuminasse anche la mia notte, sempre più impenetrabile e continuamente in attesa della luce del giorno; se riuscisse a farci percepire la vicinanza (ed il calore) di Colui che troppo spesso dimentichiamo; se ci purificasse dalle scorie del nostro egoismo.

Intanto, le fiamme si gonfiano, si agitano, danzano sempre più in alto verso il cielo; libere, incontrollabili crescono e si dilatano. Consumano – inesorabilmente – quanto è stato costruito da mano d’uomo, alleggerendone il peso. Eh sì che quel fuoco (che brucia paure e timori) ci trasforma, ci trasfigura in uomini nuovi, rinnovati nelle nostre speranze; quel suo tragitto processionale, quel suo procedere, che ogni anno si ripete sempre uguale, dice di una nostra penitenza, di una nostra morte e resurrezione, di un nostro possibile (e auspicato) cambiamento.

E’ un incedere ordinato, rispettoso del dramma; tutti sanno i loro compiti e, di tanto in tanto, solo qualche ordine ai protagonisti da parte di colui che, con gesti decisi, ravviva le fiamme che tendono a cedere all’oscurità della notte: il dolore non accetta sbavature, distrazioni, e quello di Maria ancora meno; è un compito, il loro, che devono adempiere fino in fondo, sapendo che – purtroppo – nulla può lenire quello strazio: <Quae moerébat et dolébat,/ Pia Mater dum videbat/ nati poenas ínclyti>.

Ma arriva l’alba, quella di un nuovo giorno, il sabato, ed insieme la sensazione che loro,  le fracchie, non siano – nonostante la luce ed il calore sprigionato – riuscite a soggiogare l’oscurità della notte: spente, e come abbandonate, sembrano ammettere la sconfitta, il fallimento; rassegnate ad una fine inevitabile. Eppure, la loro (come la nostra) è solo una sconfitta temporanea: è solo questione di tempo, di attesa. Tutti avvertono che qualcosa non va, ma nessuno sa dire cosa:  si spera solo che passi in fretta; il sabato (quel sabato) è il giorno del <già>, ma anche il giorno del <non ancora>, dove il presente sembra oscillare tra certezza ed incertezza, tra la certezza del passato e l’incertezza del futuro; dicono che è un giorno “frammezzo” in cui non c’è più nulla da vedere e nulla d’ascoltare.

Certo, è cambiato lo scenario: è tutto diverso; regna un silenzio surreale e tutto sembra inafferrabile come di un vuoto incolmabile. Eppure, quel fuoco ormai spento delle fracchie col plenilunio si rianimerà e sarà un fuoco “nuovo”, un fiamma “viva” che definitivamente vincerà le tenebre e così il buio che ha avvolto l’enigma, e che il loro fuoco ha cercato di svelare, presto si trasformerà in luce; tutto sarà luce: sarà un giorno senza fine e senza tramonto.

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