Grazia Galante tra filastrocche, scioglilingua, brindisi e indovinelli

Un volume che raccoglie modi di dire divertenti del nostro passato

di Luigi Ciavarella

A distanza di poco tempo da “I Canti Popolari di San Marco in Lamis, vol.2” ecco che Grazia Galante ci delizia con un nuovo lavoro inedito. Questa volta i temi popolari presi in esame sono le “Filastrocche Scioglilingua Brindisi Indovinelli di San Marco in Lamis” (Andrea Pacilli Editore) che rappresentano una nuova prova d’indagine, esaudiente come suo costume, per la nota ricercatrice sammarchese, sul corpo vivo della nostra tradizione.

Nella dotta introduzione il professor Ferdinando Pappalardo dell’Università di Bari chiarisce il concetto di base che regola queste folgoranti composizioni “senza poeti” (le filastrocche), che sono versi popolari senza avere alcuna pretesa letteraria, nate per favorire il sonno dei bambini come per per l’adulto di divertire il prossimo (con “ingiurie, imprecazioni modi di dire e persino bestemmie”) indagate con certosina pazienza nel fondo di quel microcosmo sotterraneo in cui è custodita la nostra tradizione orale, qui raccolta affinché della sua “saggezza popolare” nulla vada perduta. Merito encomiabile per Grazia Galante, assunta da tempo a custode della nostre radici popolari.

Le filastrocche non erano soltanto espressioni ludiche ma avevano anche una funzione educativa quando diventavano un metodo per insegnare ai fanciulli a contare (“Duua pe dduua fa quatte/Trèja pe ttrèjia fanne nòve/facce lu cunte e nnon me tròve/” etc…) oppure ad apprendere le vocali (“Filastrocche per imparare i giorni delle settimane”) o ad esprimersi seguendo un metodo d’insegnamento forse inusuale ma molto efficace.

Molte di queste filastrocche sono note a quelli della mia età per averle apprese dai propri genitori oppure udite nelle strade che erano le nostre palestre di vita, qualcun altra invece (“Teratùppete e cquatte canistre” per esempio) è stata pure suonata nei vari concerti tenuti dalla formazione popolare Festa Farina e Folk (ed incisa finanche nel loro pregevole primo lavoro digitale del 2007). Ma la ricerca di Grazia Galante va oltre le filastrocche investendo anche il curioso mondo degli scioglilingua, “che servono a superare alcune difficoltà di pronuncia oltre a divertire chi li ascolta”, (“Pasquale spacca a mmé/ejji pòzze arrevà a spaccà a pPasquale” oppure “Frije, frije pèssce/sope la ferrarègna mija”); i Brindisi (“Quistu vine jé bbélle e bbone/e alla faccia dellu patrone”) i cui componimenti ruotano quasi sempre intorno ai lauti banchetti allestiti in buona compagnia, con frasi spesso improvvisate al momento, (”Quiste vine addora de finocchie/e cquante me dole lu venocche!). Si tratta di versi che esprimono oltre al dileggio calore, semplicità e allegria nei luoghi conviviali come possono essere una cantina o un pranzo nuziale (almeno quelli di una volta). Infine gli Indovinelli, forse la parte più succulenta della raccolta, che sono “un misto tra l’enigma e il letterario”, che richiamano il doppio senso e si prestano all’equivoco con capacità di creare anche delle sfide il cui premio finale a volte poteva significare il condono di un debito. Un universo letterario tra il fantasioso e il bonario che tocca ogni genere (“Tègne na còsa,/sope la trippa pòsa./Ah ah ah/che ppiacère che mme fa!”_ la chitarra, oppure “La curpuratura jè gghianca,/la ciòcca jè rroscia/vòmmeca e nnon ttosce”_ la candela) che allude e colpisce con sicuro fendente l’immaginazione popolare nel tempo in cui l’ingenuità e la schiettezza della gente erano il comune fattore che legava le diverse anime che popolavano questa valle. Una comunità che Grazia Galante, ancora una volta con impareggiabile rigore ha sottratto anche in questo caso dall’oblio un pezzo della nostra storia, bella e seducente, restituendola ad un comunità la cui storia, quantunque la si voglia spesso dileggiare, ha posseduto una vivacità culturale e orale degna di essere evocata e conservata nel tempo.

 

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