Qualche notizia, per dovere di informazione, a proposito di un “museo d’arte sacra” a San Matteo

Dopo aver letto l’annuncio di un incontro, venerdì 19 aprile, per presentare l’idea progettuale di un “museo di Arte Sacra nel Santuario di San Matteo”, ho sentito il dovere di dare alcune informazioni sull’argomento, anche per rendere merito a chi, per decenni, ha lavorato per raccogliere, conservare e valorizzare l’ingente patrimonio di beni culturali presente in quel santuario: dai paramenti sacri agli oggetti liturgici e devozionali, dagli ex voto alle collezioni di vario genere, e non solo, oltre ai libri naturalmente.

L’idea di ampliare e rendere maggiormente funzionale l’esposizione museale di quel patrimonio non è una novità, ma è stata più volte messa in campo.

Vorrei ricordare, ad esempio, che era stato concluso un accordo tra la provincia monastica dei Frati Minori ed il Comune di San Marco proprio per adattare i locali dell’ex scuola materna di Viale Santa Rita, con le annesse pertinenze, a spazio museale per i beni culturali pazientemente reperiti e custoditi a San Matteo.

L’idea si inseriva in un progetto più ampio, teso a creare una rete di opportunità per la promozione del territorio: infatti, si era pensato anche a prevedere un ampliamento e potenziamento del Parco dei Dinosauri, per costruire un polo organico di turismo (anche per dare impulso a Borgo Celano), soprattutto di tipo scolastico e culturale, oltre che ambientale (San Marco ha ca. tremila ettari di demanio civico in buona parte bosco), da integrare con l’aspetto del pellegrinaggio religioso, in modo, tra l’altro, da connettere storia e tradizione con la modernità. Si parlò, a tale proposito, di una “Cittadella delle Scienze” che, inglobando l’attuale nucleo geologico e paleontologico, comprendesse anche laboratori interattivi (questa era un’idea forza) di fisica, chimica, biologia, tecnologie di vario genere (oggi si fa un gran parlare di intelligenza artificiale), un orto botanico sull’esempio del vivaio messo su dal Consorzio di Bonifica (o in collegamento con esso), un planetario ed altro che man mano poteva maturare.

Contemporaneamente, era stato proposto alla provincia monastica di concedere i locali storici -del feudatario Pappacoda- annessi al convento di Stignano (ora in completo abbandono e, sembra, fuori da ogni vincolo di tutela, nonostante siano parte integrante di un monumento nazionale che risale al XVI secolo) a soggetti interessati ad un centro studi sulla transumanza. A tanto, poi, si poteva aggiungere il seminterrato dell’Edificio Balilla per un museo etno-antropologico della civiltà contadina e delle Fracchie.

Queste proposte sono cadute nel vuoto per tante ragioni, che non è il caso ora di riesumare, ma, a mio modesto parere, possono ancora far riflettere sull’idea progettuale che si andrà a discutere venerdì prossimo: un confronto può essere sempre proficuo, anche alla luce di esperienze passate.

Vorrei solo ricordare il Giubileo del Duemila, quando si realizzò un megaparcheggio, proprio nei pressi del Museo dei Dinosauri, poi rivelatosi del tutto inutile. Ma, vorrei ricordare anche che a Borgo Celano c’è un grande albergo, l’Hotel Celano, praticamente chiuso e inutilizzato, così come, sempre a mo’ di esempio, vorrei ricordare il caso della Masseria Pilota “Agropolis” tra San Giovanni e Monte Sant’Angelo.

Insomma, vorrei, in qualche modo, non spegnere ma stemperare facili entusiasmi e portare l’attenzione ad un livello maggiore di realismo e di progettualità veramente mirata allo sviluppo dei territori, alla luce dell’esperienza maturata, che mi ha insegnato, fondamentalmente, a diffidare degli enti pubblici, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, quando vogliono sostituirsi in tutto e per tutto ad altri soggetti, soprattutto economici, anche perché non hanno memoria, basandosi, per lo più, sulla valutazione, spesso molto interessata, di risultati limitati ad esigenze del momento e non sempre di carattere generale.

E penso ai documenti di programmazione territoriale, presentati quasi sempre con grande enfasi e poi completamente dimenticati, come, nel caso del nostro comune, il piano dei tratturi, il piano di rigenerazione urbana (che doveva svilupparsi intorno al percorso della Via Francigena), lo stesso piano urbanistico generale, nonché gli strumenti di programmazione territoriale di area vasta, che nessuno conosce e nessuno richiama quando si decidono investimenti importanti che, realizzando “cattedrali nel deserto”, al contrario di quello che può apparire al momento, impoveriscono e non arricchiscono i territori.

Di soldi ne sono stati spesi tanti ma, dal maggio 2016 al 2024, la popolazione di San Marco è passata da 13.820 a poco più di 12.400 abitanti (sulla carta).

G. S.

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